Portella - Pizzo Cefalone - Punta Giovanni Paolo II e la cresta delle Malecoste

ritorno per la valle del Venaquaro e di nuovo sul Pizzo Cefalone per lo spigolo Ovest.

Puoi stare lontano dal Gran Sasso quanto ti pare, far finta che per tutte le volte che ci sei stato non ti interessi più, ma lui ti frega e la prima volta che ci ritorni ti riesplode dentro. E’ la montagna delle nostre montagne . Sarà per le dimensioni, sarà per la vastità degli orizzonti, per le verticalità sempre accentuate, per quanto ti senti piccolo al cospetto di ciò che hai intorno, per le proporzioni che si perdono nelle distanze e nelle altezze ma tutte le volte che rimetti piede sui sentieri di questo gruppo montuoso e perdi lo sguardo nelle sue smisurate dimensioni perdi di vista tutte le altre montagne. E sai che vorrai ritornarci il prima possibile. Infatti …… solo sabato scorso ero con Luca sulla vetta occidentale del Corno Grande e mentre eravamo lassù a stordirci dell’immenso che si dominava ci promettevamo di percorrere presto quella lunghissima cresta che avevamo sotto e di fronte. E col Gran Sasso il presto è ….subito. Alle 4 e 40 di sette giorni dopo, in una ancora buissima mattinata spazzata da un vento fresco fortissimo con Giorgio e Luca muovevamo da Campo Imperatore alla volta del Portella. Le sagome delle creste e la mole del Corno Grande erano appena intuibili nello sfondo di un cielo più buio della notte. Le stelle mille volte di più di quelle della città non bastavano ad illuminare i nostri passi. Il sentiero tante volte battuto alle spalle dell’osservatorio lo conosciamo a memoria; sferzati dal vento saliamo in mezz’ora i tornanti che conducono al rifugio del Duca degli Abruzzi. E’ ancora notte mentre ci riprendiamo dalle folate del vento al riparo delle confortanti mura del rifugio. Poche parole bastano a farci notare dagli occupanti e una fioca luce filtra da una finestra ad accendere il nostro angolo protetto dal vento. Una cortese ospitalità ci viene offerta ma non la possiamo accettare. Siamo li per andare lontano e riprendiamo dopo poche cordiali scambi di parole sui nostri progetti il nostro percorso. Il Portella lo raggiungiamo subito appena dopo aver lasciato il rifugio e poi spinti dal vento ormai alle nostre spalle voliamo via sulla cresta tanto sognata la settimana prima; un’alba appena accentuata nascosta da dense nubi che dominavano il versante teramano cominciava a dare volto ai profili fin li percepiti e la striata mole della piramide del Pizzo Cefalone si avvicinava velocemente. Proprio sotto gli imponenti sbalzi delle rocce di vetta, lungo il traverso che conduce all’attacco finale ci fermiamo per riprenderci dalle sferzate del vento. E’ Il primo momento di pace da quando siamo partiti e ne aprofittiamo per mangiare qualcosa. La salita alla piramide sommitale ci impegna in un divertente approccio alla roccia con passaggi di 1° e 2° grado e in meno di 20 minuti ci conduce alla duplice croce dei 2533 metri della cima. Sono le 9. Fin li solo un lungo panoramico percorso di ampie creste e una facile breve salita su roccia che consigliamo a tutti come primo approccio alla vera montagna per semplicità e nello stesso per la soddisfazione che può dare. Lassù non abbiamo più pareti che ci proteggono e veniamo sbattuti dal vento senza pietà; ci prendiamo il nostro momento di felicità per il primo obiettivo raggiunto e per il meraviglioso panorama dominato dalle moli incontrastate del Corvo, dell’Intermesoli e del Corno Grande un po’ più in la. Ma quando il vento ti sbatte così non hai molti motivi per rimanere e consapevoli anche che la nostra meta finale è ancora molto lontana riprendiamo il cammino scendendo per il sentiero appena salito alla ricerca della forcella che ci possa far accedere alle Malecoste. Le verticalità da una parte che ti scaraventa verso la profondità della valle del Venaquaro e il percorso di salita dall’altro che non offriva deviazioni conducono con ovvietà alla forcella che spalanca l’accesso delle Malecoste. Un bel passaggio tra due guglie rocciose è un simbolico ingresso verso i nuovi scenari che ci aspettano. Cima Giovanni Paolo II è li davanti a noi; forse tre, quattro cento metri di distanza ci separano ma la cresta li davanti non è più quella arrotondata fin quì percorsa. Subito ci si parano davanti passaggi sottili su cengie anche un po’ esposte e strette crestine da percorrere con salti di roccia nel vuoto da una parte e liscie placche inclinate dall’altra che fanno da impossibili vie di fuga. Ogni passo diventa misurato e ponderato; intuiamo che sul quel territorio ogni distrazione potrebbe essere pagata a caro prezzo e l’impegno ci fa diventare silenziosi. Con prudenza e forse un atteggiamento un po’ timoroso più lentamente rispetto al mattino percorriamo la poca distanza che ci separa dalla seconda nostra vetta della giornata e raggiungiamo la torre del Giovanni Paolo II. E’ davanti a noi, massiccia, tozza e svettante nello stesso tempo, sono solo una trentina di metri da salire per toccare la massiccia croce, ma sembra inaccessibile così contornata solo da verticalità. E’ la teoria del sapere che li ci passa un sentiero a confortarci, altrimenti la voglia di voltare le spalle si sarebbe già fatta azione. Ci prendiamo una pausa per riflettere e commentare l’arditezza delle esposizioni che dal Cefalone conducono fin li. Ci voltiamo verso la cima più alta appena discesa e sorridiamo alla consapevolezza del fatto che il nome stesso di Malecoste debba pur avere qualche significato nemmeno tanto nascosto. Dal Cefalone il salto è di circa 200 metri ma dal punto dove eravamo quel dislivello era solamente un susseguirsi di placche inclinate sfuggenti; sembrava che non esistesse sentiero e l’impressione che avevamo era quella di essere incastrati nel mezzo di due fortezze inaccessibili. Poi la ragione torna ad impossessarsi di noi e riprendiamo in avanti. E’ Luca ad attaccare per primo la torre del Giovanni Paolo II; da sotto come sempre la verticalità impossibile dettata dall’appiattimento della distanza si fa percorso e punti di appiglio, ma l’ultimo strappo non è da sottovalutare. Una roccia friabile, con passaggi stretti e sdrucciolevoli per la presenza di breccino non si fa prendere a cuor leggero; ma si sa, quando Luca sente odore di vetta ogni difficoltà diventa affar secondario. In poco tempo è già li ad infilarsi nel buco di roccia formato da un masso caduto che conduce prorio in vetta. E’ costretto a togliersi lo zaino per passare ma è solo una scocciatura perché in meno di un sospiro è già dall’altra parte. Lo seguo, non mi sento sicuro per la mancanza di appigli e per lo strato sdrucciolevole di pietrisco che sento sotto gli scarponi; ammiro le sua leggerezza e intanto sono anche io nel passaggio decisivo. Non tolgo lo zaino, ho qualche difficoltà in più ma ormai è fatta, sono in cima. Tocca a Giorgio cimentarsi col passaggio attraverso il buco; lui preferisce togliersi lo zaino e con agilità è da quest’altra parte. Ancora prima di gioire per la seconda vetta raggiunta sono proiettato alla via di discesa per quello stesso punto. Mi ricordo, anche inspirato dalla presenza di un perno di sicura impianatato nella roccia proprio a favorire la discesa, che come sempre succede quando un accessorio è importante, avevo dimenticato di prendere il solito spezzone di corda che mi porto dietro. Mi viene ansia a pensare di ritrovarmi quel brecciolino in quel punto mentre sto scendendo privo di appigli sicuri. Pavento la mia sensazione a Giorgio e Luca e forse anche in maniera un po’ tropo violenta tanto da coinvolgere Giorgio nelle mie ansie. Abbandoniamo un momento la discussione per goderci la cima, per le solite foto di rito e per mangiare finalmente qualcosa. Con più calma cominciamo ad affrontare l’argomento ritorno. Il progetto della giornata era di arrivare per le Malecoste fino alla cima omonima che si trovava davanti a noi verso nord culmine alto della rotonda e accessibilissima cresta che ci si spalancava davanti. Giorgio, non so se a causa mia per il timore comunicato della discesa al di la del foro di roccia, o per la nottataccia passata con qualche linea di febbre manifestava una improvvisa stanchezza; non intedeva continuare oltre e voleva tornare. Quando la distanza del percorso diventa fattore insormontabile per la stanchezza di uno dei componenti le scelte non esistono più. Concordi nelle difficoltà che avremmo incontrato al di la del foro di salita tentiamo un passaggio su roccia ad aggirare la vetta ma senza corde non riusciamo a superare il salto. Giorgio prende quindi la decisione che il passaggio attraverso il buco è fattibile e si butta nel tentativo mentre riguadagno la vetta con qualche passaggio esposto non in programma. Ma ormai il clima della giornata è corrotto, quando risbuco in vetta per riprendere la discesa lo vedo risalire trafelato dal buco. Non se l’è sentita. Ormai il sasso lanciato nel mare del dubbio ha sollevato onde non superabili. Nonostante la sua stanchezza si arrende all’idea della distanza e lo vedo prendere verso La Cima delle Malecoste su sentiero di cresta sicuramente più agevole. Mentre camminiamo ci dettiamo la possibilità della fuga per altro percorso: una sella di ritorno dalla Cima delle Malecoste, nel punto esatto dove ci trovavamo offriva una agile discesa su un misto di prati e pietrisco verso l’interno dell vallone del Venaquaro. Giorgio era un po’ spaventato dalla vastità del vallone ma era confortato dal fatto che la Cima delle Malecoste la stavamo raggiungendo in un tempo davvero molto inferiore rispetto a quello che aveva previsto. La stanchezza fa brutti scherzi e non fa lavorare bene il cervello e alla fine la scelta che è prevalsa è quella della saggezza. Attraverso la Valle del Venaquaro, luogo bellissimo e fuori dal mondo, forse ciò che somiglia di più alla nostra idea di suolo lunare, le difficoltà si annullano e si tratterà da li in poi solo di mettere un piede davanti all’altro. Confortato da questo Giorgio sale con noi la Cima delle Malecoste. Sono solo le 10 e mezza quando ne calpestiamo la sommità. Rimaniamo poco ormai presi dall’idea del lungo ritorno. Guardiamo con desiderio il resto del percorso verso il Pizzo Camarda e soprattutto la Sella di Camarda e la seghettata cresta della Falasca che attraversa il Venaquaro come fosse un trampolino di lancio per la salita al massiccio del Monte Corvo ormai incombente presenza sul territorio. E’ presto, in altri tempi ci saremmo spinti avanti, ma presi dalla stanchezza e da un orario da rispettare per il rientro riprendiamo la via del ritorno. Su e giù per le rotondità della cresta fino al punto previsto di discesa dentro la valle; una scivolata velocissima dentro l’aridità del Venaquaro, le linee di livello ben mantenute e quello che sembrava un attraversamento di un territorio sconfinato è diventato una piacevolissima passeggiata. Dentro quel catino enorme, accanto agli altrettanto enormi massi ruzzolati a valle e soprattutto dominati dalle moli delle creste e delle montagne tutto intorno ci sentivamo dei puntini piccolissimi. Era un insolito punto di osservazione dei massicci del Corvo e dell’Internesoli ma soprattutto dell’insapettata perete Nord del Pizzo Cefalone. Da sotto la perete delle vetta e la cresta fino al Giovanni Paolo II erano un magnifico muraglione di una verticalità spavalda. Alla fine quella deviazione non voluta ci ha regalato approfondimenti sul territorio non cercati ma assolutamente importanti per la nostra conoscenza degli Appennini. Intanto il procedere in barba alla stanchezza si faceva leggero e veloce. Diventava chiaro il percorso di ritorno; ci preoccupava un po’ solo la salita alla cresta fino alla Sella del Cefalone, da li una discesa dentro Campo Pericoli ci avrebbe riconsegnato territori e distanze amiche. Dopo un altro breack mangereccio per raccogliere le forze prima dell’ultimo sforzo prendiamo decisamente la salita in cresta per quella che ci pare la linea più accessibile. Un percorso su sfasciumi e pietrisco ci taglia un po’ le gambe e il fiato ma quando cominciamo a fare i conti con l’affanno siamo in cima. Le incombenti presenze sono sempre le stesse, si riaffaccia il Corno Grande per un po’ nascosto alla vista dalla profondità del Venaquaro ma i punti di osservazione cambiano continuamente. Luca è affascinato dall’Intermesoli. Se fosse per lui sarebbe cosa fatta e fatichiamo a tenerlo fermo sul progetto del ritorno. Giorgio nel frattempo manifesta un ritorno di stanchezza, questa volta me ne accorgo anche io; è pallido e demotivato. Suggerisco di prendere a sinistra perché verso la Sella Dei Grilli colloco la Sella del Cefalone punto di accesso del sentiero che ci porterebbe dentro Campo Pericoli. Non siamo in sintonia, consultiamo la carta e si decide, quantunque io rimanga ancora del mio parere, di proseguire verso il Cefalone a destra su un sentiero insolitamente tracciato dalla presenza frequente di bandierine rosse. Saliamo ancora per gradoni erbosi decisamente accentuati e osservo Giorgio; sono sorpreso che abbia scelto questo percorso ulteriormente in salita. A dire il vero mi innervosisco per questa decisione che allo stato delle cose giudico ulteriormente aggravante ma cerco di non farlo intuire. Confido nel traverso breccioso sotto la perete del Cefalone che avevo notato dalle Malecoste . Intanto dalle sommità del Pizzo Cefalone, proprio sulla cresta est della montagna notiamo scendere tre escursionisti; non pensavo che questi sarebbero stati inconsapevoli forieri di nuove fatiche e difficoltà. Il sentiero sale ancora fino ad alcuni vartiginosi canalini che si aprono verso Campo Pericoli; la visuale è magnifica e gli scorci sono splendidi soggetti per le nostre fotografie, ma il terreno non è di quelli che speri di trovare quando sei in preda alla stanchezza insopportabile che ti da alla testa. E Giorgio si trovava in quella situazione. Ormai eravamo tutti consapevoli che non poteva essereci più traccia di sentieri di discesa dentro campo Pericoli; non rimaneva che tornare indietro o salire di nuovo fino alla vetta del monte. Non so per quale decisione, forse decidendo per la via più breve, forse attratto dalla sicureza che viene dettata dalla presenza di inequivocabili segnali di sentiero, nel punto in cui si apriva il tracciato segnato su carta che attraversa lo sfasciume di roccia sotto il muro di vetta e che raggiunge di nuovo le Malecoste, Giorgio prende per un canalino in salita in mezzo alle rocce. In momenti di freschezza sarebbe stato un gioco invece ben presto diventa motivo di ansie e di contrasti. Col senno del poi non vedo difficoltà di sorta a parte una scivolosità dettata dalla presenza di pietrisco sottile e qualche tratto un po’ esposto, ma subito le difficolta dettate dalla poca lucidità si fanno sentire. Solo Luca procede spedito e si carica del ruolo di apripista; Giorgio lo segue ma è palesemente in difficoltà. Io temo che la poca lucidità ci faccia commettere errori. I passaggi non sono più arditi di innoqui secondi gradi ma le esposizioni in alcuni casi sono accentuate. In cima al primo canalino Giorgio manifesta subito l’impossibilità di una ritirata per la via di salita; non rimane che salire ancora e in quel momento i miei pensieri sono alle sconosciute difficoltà che avremmo incontrato e all’assoluta mancanza di accessori di sicurezza. Ma la situazione per Giorgio sfiorava a tratti il panico; la mia irratazione per una fila interminabile di decisioni sbagliate dovevo tenerla a bada anche perché non faceva altro che fomentare in me la sensazione di ansia. Non mi volevo trovare in quel momento, in quello stato in quella situazione, ma non potevo far altro che accettare la situazione stessa e continuare. Sopra il canalino ci fermiamo per riposare e raccogliere le idee; l’ansia non ci impediva di cogliere la spettacolarità del luogo e di aproffittare per delle foto. Il sentiero ancora ben segnalato portava verso una cengia sottile di 30 centimetri, ben percorribile per 4 metri e poi risaliva un ulteriore canalino in senso opposto, più verticale del precedente ma più ricco di roccie e di maniglie su cui aggrapparsi. L’ordine era sempre lo stesso, Luca leggero e a suo agio ogni passo di più, davanti, poi io e a chiudere un sempre più stanco Giorgio. Ma lentamente si procedeva. L’ansia e la voglia di trovarsi fuori da li portavano a promesse di rinuncie future improponibili che ho ripudiato già doppo pochi passi. Ancora in cresta con campo Pericoli che si spalanca sotto di noi con vertiginose verticalità la cima sembra più vicina; non visibile ma nemmeno più così verticale sopra di noi. Una piccola sella davanti a noi e una paretina esposta ma ricca di appigli ci separa dalla rotondità della cima; la prendo di petto cercando di non pensare alla stanchezza e alle incomprensioni e ritrovo la mia scioltezzza. Luca mi segue e anche Giorgio ritrova il suo piglio. Siamo di sopra a tutte le difficoltà impreviste e non volute. Su, di nuovo al cospetto delle croci ci riprendiamo la nostra serenità. Il vento si è placato e la temperatura è davvero gradevole; sono le 12 e 30, abbiamo fretta di tornare per gli impegni della serata che ci porteranno a festeggiare il nostro Alessandro che si è assicurato la sua personale vetta di nome Elena, ma ci lasciamo andare in un ozio e finalmente ad una serenità di norma usuale ma oggi così lontana. Sappiamo già io e Giorgio che gli ultimi 100 metri di salita e lo stato di ansia con cui li abbiamo affontati apriranno scenari di discussione e di riflessione; proviamo a dare qualche giustificazione ma è troppo presto per darsi risposte. Riprendiamo allora a scendere, percorsi già calpestati e ricalpestati. Senza salire di nuovo in cresta sul Portella il ritorno è sul traverso nel fianco della montagna. Una leggera pendenza defaticante ci porta in un paio d’ore a Campo Imperatore . E’ fatta, la giornata doveva portarci le tre vette e quasi tutta la cresta delle Malecoste e ci ha portato anche di più, comprese emozioni forti, contrasti e prove di forza interiore. Anche tutto questo è montagna. Ora occorre far sedimentare le emozioni vissute e trarne i giusti insegnamenti. Il resto è stato quello stupendo palcoscenico del gruppo del Gran Sasso che non finisce mai di stupirti.